Se ne fa un altro
Volete sapere in anteprima il nome del prossimo Papa? Ve lo dico io tramite fonti certe!
In prossimità del Conclave, si moltiplicano inevitabilmente i pronostici sul suo esito. Si sa però che “chi entra papa esce cardinale” e quindi che i pronostici lasciano un po’ il tempo che trovano. C’è però una fonte di previsioni più affidabile delle altre, e ad essa oggi ci riferiremo: la Profezia di Malachia.
Come forse già sapete, questa profezia è attribuita a San Malachia, vescovo irlandese del XII secolo, e presenta un elenco di brevi motti latini che descriverebbero tutti i papi a partire da Celestino II, eletto nel 1143.
Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco: la profezia è con ogni probabilità un falso della fine del Cinquecento, ordito per favorire nel Conclave del 1590 il cardinal Simoncelli da Orvieto (peraltro, senza riuscirci). Tutti i motti latini precedenti sono infatti incredibilmente calzanti, e riprendono tra l’altro alcuni errori storici del 1400 (quindi, successivi alla vita di San Malachia), visto che includono nella lista precedente al 1590 ben 10 antipapi (che sarebbero i papi non legittimi). Malachia avrebbe dovuto prevedere quindi non solo i papi ma anche gli errori degli storici.
Allora perché interessarsene come se fosse vera? Per un paio di motivi.
Il primo è che la profezia è conosciuta anche dai cardinali elettori, e potrebbe (più o meno consapevolmente) indirizzarli nella scelta (il classico esempio di profezia auto-avverante), anche perché contribuirebbe a rinforzare nell’opinione pubblica l’elemento sovrannaturale presente nell’elezione papale.
Il secondo motivo ce lo forniscono millenni di letteratura, a cominciare dall’antica Grecia, che ci hanno insegnato come sia bene non sottovalutare le profezie, specie quelle un po’ ambigue, perché a posteriori si scopre sempre che c’era in esse un fondo di verità legato a una interpretazione che non era stata prevista.
Oggi conosciamo abbastanza bene la profezia di Malachia, sebbene essa sia stata abbastanza ignorata per secoli. È però tornata di moda con il pontificato di Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, che era definito dal motto “De medietate lunæ”. Il riferimento alla Luna in un pontificato durato appena 33 giorni è in effetti quasi incredibile, e da allora si sono fatti i salti mortali per cercare corrispondenze con tutti i papi precedenti. C’è da dire che in molti casi sono state effettivamente trovate coincidenze significative (per esempio Clemente X, “De flumine magno” che fu eletto in un giorno di piena del Tevere).
L’altro motivo che ha reso la profezia popolare in tempi recenti è che la lista dei motti si è esaurita. Col passare dei secoli siamo infatti arrivati alla parte finale del testo che, come vedremo, porta con sé diversi dettagli interessanti.
Come si vede dall’immagine, ogni motto latino è seguito da un punto e da un a capo. Gli ultimi papi della lista sono i seguenti:
Giovanni Paolo I, “De medietate lunæ”: il suo pontificato è durato proprio “una luna”, cioè un mese.
Giovanni Paolo II, “De labore solis”: una delle possibili traduzioni è “sulla sofferenza dell’est”, e indicherebbe la provenienza del papa dalle zone di influenza sovietica.
Benedetto XVI: “Gloria olivæ”: i benedettini, dal cui fondatore Ratzinger ha preso il nome, sono detti anche “olivetani”.
E a questo punto la lista cambia nella struttura, in previsione del gran finale. A lungo si è pensato che il testo finale fosse una frase unica, e che a Gloria olivæ dovesse succedere un ultimo papa, “Petrus Romanus”, al quale si riferisce tutta la frase. Per questo, Petrus Romanus dovrebbe essere Francesco, ma a questo punto non torna più niente. La frase finale dice infatti:
“In p[er]secutione. extrema S.R.E. sedebit. Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribolationibus: quibus transactis civitas septicollis diruetur, & Iudex tremendus iudicabit populum suum. Finis.”
Generalmente, i punti della prima parte vengono intesi come “virgole lunghe”, secondo le convenzioni di punteggiatura cinquecentesche. Quindi la traduzione di solito è resa come “nella persecuzione finale di Santa Romana Chiesa siederà Pietro Romano, che pascerà le pecore in molte tribolazioni. Passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.”.
Ora, se Petrus Romanus fosse Francesco, prima della sua morte avremmo dovuto avere una persecuzione finale, alla quale avrebbero dovuto seguire la distruzione di Roma e il giudizio universale. Al momento ciò non mi pare essere avvenuto, sebbene possa ancora accadere prima del Conclave. Ma speriamo di no, dai. In caso, mi scuso in anticipo di aver portato sfiga.
In ogni modo, se Petrus Romanus fosse Francesco, non ci sarebbe nessuno dopo di lui e quindi avrebbe poco senso usare la profezia per fare ipotesi sul Conclave e quindi avreste letto fin qui per niente. Tuttavia, vi tranquillizzo: ci sono altre interpretazioni possibili.
La prima è che la lista si interrompa, ma la successione dei papi no: perciò tra Gloria olivæ e Petrus Romanus potrebbero esserci altri mille papi che però non sono elencati. Anche in tal caso però la profezia non ci aiuta.
La seconda interpretazione ha a che vedere con le dimissioni di Benedetto XVI e sulla possibile validità del Conclave che ha eletto Francesco. Alcuni hanno infatti notato come, nella bolla di rinuncia, Benedetto abbia rinunciato al “ministerium” petrino, ma non al “munus”, che sono due cose distinte sebbene in italiano siano rese entrambe come “ministero”. Quindi, secondo questa teoria, Benedetto avrebbe rinunciato all’esercizio delle funzioni papali ma non al fatto stesso di essere papa; quindi, il Conclave del 2013 non sarebbe stato valido e Francesco sarebbe stato un antipapa, cioè un papa non legittimo. Secondo questa interpretazione, Petrus Romanus è il prossimo eletto, visto che il prossimo Conclave sarà invece valido.
Sempre secondo questa interpretazione, la prima parte della frase finale della profezia andrebbe letta in modo diverso: l’abbreviazione “S.R.E.” (Sancta Romana Ecclesia) nasconde la declinazione latina del termine. Solitamente viene interpretata come genitivo (“nella persecuzione finale di Santa Romana Chiesa siederà Pietro Romano”), ma c’è un punto subito dopo “p[er]secutione” che, anche a considerarlo come virgola, non torna e sembra piuttosto un errore di stampa. Leggendo invece “S.R.E.” al nominativo (cioè, soggetto della frase), abbiamo “nella persecuzione, l’ultima Santa Romana Chiesa regnerà”. Quindi, punto a capo, e segue la frase relativa a Petrus Romanus che non è più il soggetto di “sedebit”. Chi segue questa interpretazione legge peraltro il “sedebit” non come “regnerà” ma come “si prostituirà” (che è un’altra, legittima, interpretazione del verbo latino sedeo), a indicare la corruzione della Chiesa e la sua fine. Come dicevo, il bello delle profezie è la loro ambiguità.
Molti canonisti hanno però ricusato la distinzione tra rinuncia al munus e al ministerium, riconoscendo invece la piena validità del pontificato di Francesco. Decidete voi se crederci o no. Del resto, visto che la lista originale comprende già dieci antipapi, il fatto che Francesco possa essere un antipapa non ne pregiudica la presenza nella lista.
Io propongo quindi una terza via di interpretazione.
Si noti infatti che dopo “sedebit” c’è un “a capo”: tutta la frase da “In” a “sedebit” è quindi effettivamente un motto relativo a un papa, successivo a “Gloria olivæ” e precedente “Petrus Romanus”!
E il motto dice “In p[er]secutione, extrema S.R.E. sedebit”, che si può tradurre come “in proseguimento, regnerà la Santa Romana Chiesa più lontana”. Francesco è in effetti il papa proveniente da più lontano (“extrema”), e ha regnato senza soluzione di continuità con un altro papa (“in persecutione”): la frase latina gli si attaglia perfettamente!
Quindi, ricapitolando: tutto torna.
A Benedetto XVI corrisponde il motto “Gloria olivæ”.
A Francesco corrisponde il motto “In p[er]secutione, extrema S.R.E. sedebit”.
Il prossimo papa della lista è dunque “Petrus Romanus”, con tutto ciò che comporta (tipo: la distruzione di Roma e il giudizio universale). Si è sempre ritenuta una interpretazione plausibile che questo papa avrebbe preso il nome “Pietro II”, finora mai adottato per deferenza verso il capo degli Apostoli, ma ovviamente ci sono modi diversi per interpretare la profezia.
Il più semplice è, ovviamente, che il cardinale si chiami già Pietro. E in questo senso il più “Romanus” è certamente Pietro Parolin, che si chiama Pietro ed è Segretario di Stato in Vaticano. È anche tra i favoriti prima del Conclave, che altro dobbiamo aggiungere?
Ma cerchiamo di essere un pochino più sistematici. Intanto, assumiamo che il prossimo papa sarà uno dei 135 cardinali elettori. Non sarebbe obbligatorio, visto che in linea teorica qualunque maschio battezzato potrebbe essere eletto papa, ma nella pratica la scelta è sempre nella rosa dei cardinali elettori. Ed è un peccato che tra essi non rientrino almeno i cardinali con più di 80 anni, perché la (pur remota) possibilità di avere come papa il cardinal Toribio Porco Ticona avrebbe certamente avvicinato alla chiesa migliaia di sedicenni affascinati dalla prospettiva di un Papa Porco.
Tra gli elettori, dunque, ci sono diversi “Pietri”: oltre al citato Pietro Parolin, abbiamo Peter Kodwo Appiah Turkson, Peter Erdő, Peter Ebere Okpaleke, Timothy Peter Joseph Radcliffe, Jean-Pierre Kutwa, Pierbattista Pizzaballa; oppure, guardando ai cognomi, Christophe Pierre e Giuseppe Petrocchi. A questi aggiungerei pure Matteo Maria Zuppi, che non si chiama Pietro ma (se non erro) è l’unico cardinale elettore nato a Roma (quindi, sarebbe “Petrus” solo in quanto successore di Pietro, ma “Romanus” a tutti gli effetti).
Aggiungiamo altri due possibili “Romani”: Baldassarre Reina, vicario generale per la Diocesi di Roma; Mauro Gambetti, vicario generale per la Città del Vaticano;
Sono 12 su 135, circa il 9% di probabilità anche se si votasse a caso, ma sappiamo che, già da questa lista, di papabili ce ne sono almeno tre (Parolin, Pizzaballa e Zuppi). Inoltre, aggiungo che sarebbe buffo avere come papa Radcliffe, che ha lo stesso cognome di Harry Potter e che potrebbe quindi essere un discreto “Pietro filosofale”.
L’eventualità che i cardinali siano tentati dal far avverare la profezia, come ho detto, è tutt’altro che impossibile: personalmente, trovo che Parolin sarebbe una scelta sensata anche in assenza di profezie, viste la sua esperienza diplomatica e l’attuale situazione internazionale.
Quindi l’elezione di Parolin (o uno degli altri elencati) non significherebbe in automatico l’attendibilità della Profezia di Malachia… ma nemmeno la smentirebbe.
In ogni modo, se il prossimo papa dovesse essere tra i dodici citati, consiglierei vivamente di stare lontano da Roma nei prossimi mesi. Finis.